P. Juan Gabriel:
Tu sarai sempre la mia fortezza

Sacerdote

P. Juan Gabriel

E’ nato a León, Guanajuato, Messico, il 4 luglio 1964. E entrato a far parte della Legione di Cristo nel settembre del 1979. Ha lavorato come orientatore vocazionale e formatore presso il seminario minore di Moncada, Valencia, Spagna. E stato direttore di studi presso il seminario minore dell’Ajusco a Città del Messico. Si è laureato in filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. È stato ordinato sacerdote da Giovanni Paolo II, il 3 gennaio, 1991, nella Basilica di San Pietro, a Roma. Ha collaborato nella direzione di gruppi giovanili a Roma, Novara e Napoli, in Italia, ed a Santiago, nel Cile. Attualmente, è cappellano universitario nella città di Atlanta, Georgia, negli Stati Uniti.

Storia

Provengo da una famiglia numerosa. Siamo otto fratelli, quattro maschi e quattro femmine. Sono vissuto in un ambiente familiare nel quale regnava un grande spirito unitario perché i miei genitori ci amavano moltissimo. L’educazione che ricevetti da loro è stata una eccellente base per la mia futura formazione sacerdotale.


Tra le altre cose, ricordo che durante l’estate davamo una mano nella fabbrica di scaffalature metalliche di mio padre. La mattina ci faceva alzare di corsa. Ci premiava o ci puniva per i nostri voti scolastici. Facevamo spesso gite in campagna anche perché mio padre era sottocommissario di distretto del movimento “scout”.


Questo era l’ambiente familiare nel quale Dio mi chiamò quando avevo appena dodici anni e in un modo molto semplice. Nella nostra scuola si presentò un sacerdote per parlarci di un seminario minore nella Cittá di Messico. Io e mio fratello ci andammo, ma dopo un mese lui voleva già ritornarsene a casa con me, perché la famiglia ci mancava molto. Io però decisi di rimanere ancora per almeno un anno. Mio fratello ritornò il secondo anno.


Il primo semestre passò in una grande lotta interiore. Dentro di me percepivo una forte chiamata da parte di Dio al sacerdozio. Non potrei dire che la sentivo, perché i miei sentimenti contrastavano la coscienza di quella chiamata. Preferivo una vita più comoda, più facile, senza dover lasciare la mia famiglia. Pensavo che Dio lo potevo servire anche da fedele cristiano. Non è facile descrivere il conflitto interiore di quei momenti: da un lato c’era l’egoismo, dall’altro la chiamata di Dio. A poco a poco mi resi conto che la vocazione esigeva una grande fede, una grande generosità, una risposta amorosa a Dio che mi chiamava e al quale non potevo rispondere semplicemente “no” perché mi faceva comodo, non potevo dire “no” a un Dio che mi aveva dato tutto: salute, benessere, la famiglia che amavo tanto. Non potevo rispondere “non mi va” per comodo e irresponsabilità. Decisi di rimanere.


Qualcuno potrebbe stupirsi e dire: “Non è possibile che queste siano le riflessioni di un bambino di dodici o tredici anni”. Invece era così. Conservo ancora fresco nella mia memoria il ricordo di quella lotta interiore. Naturalmente, quella prima scelta s’andò maturando con gli anni. Maturò soprattutto di fronte alle difficoltà divenendo sempre più cosciente e stabile.


Penso che le difficoltà servano molto alla progressiva maturazione della vocazione. Una prima stoccata l’ebbi alla fine del primo anno vocazionale. Quell’estate avevo trascorso un mese con la mia famiglia e aveva fatto un giro di quindici giorni per la zona sud del Messico: Veracruz, Acapulco, Chiapas, arrivando fino alla frontiera con il Guatemala. Durante quei lunghi viaggi incominciai a pensare: “Questi viaggi non li potrò più fare, dovrò allontanarmi di nuovo dalla mia famiglia e chissà quando la potrò rivedere, meglio una vita normale…” Ma non per questo si tacitava in me la chiamata di Dio. Tornai al centro vocazionale abbattuto, con la voglia di tornarmene a casa. Ne discussi con il mio direttore spirituale, il quale mi esortò a pregare e a proseguire. Mi disse che aveva pensato di mandarmi al seminario di Ontaneda, in Spagna, a terminare i miei studi: avevo un mese per decidermi. In realtà le mie difficoltà provenivano dai sentimenti e dalla mancanza di generosità. Non erano certo ragioni consistenti, anzi, di ragioni, non ce n’era nessuna.


Un mese dopo partivo per la Spagna con altri nove ragazzi del seminario minore. Ho trascorso due anni tra le verdi montagne di Ontaneda, un paesaggio affascinante. Una volta la settimana uscivamo in passeggiata, alcune volte a pescare o a fare il bagno nel fiume, altre volte organizzavamo corse campestri o gare a squadre per arrivare primi a porre la bandiera sulla cima della collina.


Più tardi mi trasferii a Salamanca per continuare la mia formazione sacerdotale. Vi trascorsi quattro anni. Fu un periodo di rafforzamento della mia vita spirituale e umana. Conobbi e meditai più a fondo la spiritualità e la vita religiosa in generale. Per mezzo del Vangelo e di lunghi momenti di preghiera dinanzi all’Eucarestia, conobbi Cristo più profondamente. Capii che seguire le sue orme richiedeva una necessaria abnegazione. Mi crebbe dentro una grande ansia di salvare anime, di aiutare gli altri a incontrare Dio. Tutto ciò mi rese più consapevole della chiamata. Non ebbi più dubbi né titubanze sulla mia vocazione.


Ho sempre mantenuto ostinatamente un’idea che nessuno né nulla ha potuto rimuovere, nemmeno io stesso: che Dio mi invita a seguirlo. Questa fede nella sua chiamata è come una stella che illumina la mia rotta, che mi rischiara nei momenti bui, che mi dà forza nei momenti di debolezza. Sono contento di aver seguito il Signore. Egli ha realizzato la mia vita. Mi ha reso profondamente felice malgrado le privazioni e i problemi che ho incontrato. Egli è divenuto per me un vero amico.


Non mi ha deluso…